mercoledì 12 gennaio 2011

La guerra tra poveri

Al liceo, la prof di italiano che ci seguì per tutto il triennio conclusivo, si presentò a noi con un biglietto da visita di grande simpatia: un 5 di default a tutta la classe che, evidentemente, nel biennio precedente, era riuscita a corrompere in toto l'intero corpo docente, con una padronanza della lingua italiana, scritta e parlata, che superava abbondantemente la sufficienza.

Di fronte a questa anomalia, che andò avanti per mesi, la classe era sconvolta e muta davanti all'insegnante, ma altrettanto incazzata e urlante nelle assemblee.

Un giorno, la solita cretina (cioè io) decide di affrontare la prof, chiedendo spiegazioni, convinta che la classe l'avrebbe sostenuta, nel totale interesse di tutti. E non me l'ero inventata io il sostegno, la solidarietà...Ognuno di loro aveva dato la sua parola.

Perfino le mie più care amiche che a pensarci ancora oggi, dopo 15 anni...

A quanto pare però viviamo in un paese in cui la parola data non ha poi così tanto peso, perchè quella mattina in cui la cretina decise di parlare a nome di tutti, nessuno pronunciò un sibilo di sostegno, di solidarietà.

Io non so molto della questione Fiat a Mirafiori, ma quel tanto che basta per capire che c'è ben poca differenza con una classe del liceo. La mia, o una qualunque. Si è innescata una vera e propria guerra tra poveri: preferite la tranquillità della rassegnazione, senza sforzarvi di capire e migliorare le cose, o esporvi in prima persona con le conseguenze che potrebbero esserci?

E voi operai, che fate, preferite un lavoro di schifo o non lavorare affatto?

Conosco tante persone, fuori dalle fabbriche, dentro uffici più o meno di rispetto (apparente) che vivono quotidianamente la stessa scelta. Io stessa l'ho vissuta. Eppure non ci vuole molo a capire che se ti fanno lavorare in uno scantinato puzzolente dove non filtra la luce del sole, se ti pagano due lire e ti dicono che la nuova frontiera è la libera professione, quindi nessun contratto, nessuna firma, che se l'offesa personale, lo sminuimento, il ricatto diventano atteggiamenti all'ordine del giorno, in un posto così può solo finire male.

L'unica salvezza è il gruppo compatto, i colleghi, quelli con cui ci si copre a vicenda per un ritardo, un compito non fatto, con cui ci si rifiuta di accettare certe imposizioni, brutture umane, prima ancora che professionali.

Eppure...eppure il dividi et impera alla fine fa capolino e basta uno solo che si tira indietro per innescare quella crepa che farà crollare il muro.

Ci si autoconvince che non si può trovare di meglio, perchè di meglio non esiste. Te lo fanno credere e tu resti lì, senza neanche tentare.

E invece sapete cosa vi dico? Che tentare ne vale sempre la pena. Anche se la prof te lo farà scontare fo-re-ve-r, anche se per il nervoso ti verrà da piangere e, ricordandolo, penserai "che gran figura di merda!", anche se scappando da un letamaio finirai in un posto ancora peggiore. Di positivo ci sarà che avrai imparato a correre, e allora chi ti ferma più!.

lunedì 3 gennaio 2011

La consolazione degli avanzi


Ecco, le feste sono finite e ci lasciano così, con la panza piena e un senso di vuoto alla bocca dello stomaco. Perché è come se l’inizio di un nuovo anno debba per forza coincidere con un non ben precisato cambiamento. Si pensa sempre a cosa ci aspetta di nuovo e non si presta attenzione a ciò che invece ci si porta dietro di vecchio.

Vecchio non è necessariamente brutto. Pensate agli avanzi del cenone. Io adoro mangiare gli avanzi perché mi danno sicurezza. Sicurezza della loro bontà (li ho già mangiati), della loro praticità (non devo prepararli, sono già lì!), della loro intimità e quindi della mia (non li condividerò con altre persone di fronte a una bella tavola imbandita per la festa, ma immersa nella mia tuta, sul divano, guardando la carrellata televisiva natalizia).
Amo gli avanzi e il loro rendersi cibo semplice dopo che hanno vissuto il loro momento di gloria in un piatto ben presentato e servito.

Li amo perché anche se li mangio il 1 gennaio non hanno la pretesa di essere qualcosa di nuovo ma, al contrario, mi ricordano del giorno prima, dell’anno prima.

La crosticina sulla pasta riscaldata è come uno strato di pelle in più, una scorza di vissuto che portiamo nel futuro.